Terminato il restauro conservativo dell'opera, nota anche all'estero per la sua unicità, ed ora visitabile
Secoli di abbandono ed il trascorrere del tempo ne avevano alterato l’aspetto, dando adito a diverse letture ed ipotesi di interpretazione, spesso discordanti; oggi l’affresco del “Cristo nel labirinto” nel chiostro di San Francesco ad Alatri, liberato dallo strato di patina dopo un attento lavoro di restauro, viene restituito alla fruizione collettiva nel suo aspetto originario, del tutto ortodosso, con il Cristo benedicente all’interno di un labirinto unicursale, costituito da 12 cerchi concentrici bicromatici. Un’immagine, allo stato attuale degli studi, unica nel suo genere per l’abbinamento della figura del Cristo con il simbolo del labirinto. Opera che sta suscitando un profondo interesse tra studiosi ed appassionati italiani ed esteri, pronti a visitarla dopo l’apertura ufficiale del sito, a conclusione del restauro curato dalla Soprintendenza ai beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Lazio. Un evento atteso da molti, come dimostra il numeroso pubblico che ha preso parte alla presentazione delle varie fasi dell’intervento conservativo che ha riportato alla luce, sotto uno strato di intonaco altre decorazioni nelle pareti adiacenti l’affresco, come il velario decorato con elementi vegetali, “Fiori della vita” ed altre simbologie. Elementi che hanno fatto ipotizzare che si tratti di ambienti importanti di una sala capitolare annessa alla chiesa di San Francesco. Nessuna traccia o indizio è emerso, invece, circa i committenti e l’esecutore della decorazione; forse un monaco, come ha ipotizzato la dott.ssa Graziella Frezza, responsabile di zona della Soprintendenza ai beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici, presente all’incontro insieme ai restauratori che hanno effettuato i lavori di restauro e di sistemazione del cunicolo, per l’accesso all’opera. Presenti anche gli amministratori locali di Alatri, i vari studiosi ed appassionati che nel corso degli anni si sono occupati dell’affresco. Tra loro il ricercatore Giancarlo Pavat, al quale si deve il merito di aver calamitato l’interesse di studiosi, anche stranieri, e dei mass media attorno al misterioso affresco, contribuendo così all’ottenimento del finanziamento per il restauro di un’opera che, altrimenti, rischiava di scomparire definitivamente, risucchiata nell’oblio.